La cosa più importante di tutte è ricordare sempre che è tutto vero.
La seconda è che non potete assolutamente farcela da soli.
La terza è che se c’è qualcuno disposto ad aiutarvi, voi dovreste essere pronti ad aiutare lui.
La quarta è che la via che porta dalla piazza del forno a quella del pozzo è tutta dritta e pericolosa di giorno.
La quinta è che una volta che avrete iniziato a leggere questo libro dovrete assolutamente finirlo.

Il libro era senza copertina, aveva le pagine gialle consunte ai bordi e puzzava da morire, come se fosse stato chiuso in una cantina ammuffita per tantissimi anni.
Costantino lo sollevò cautamente dalla scatola usando solo due dita, sperando di riuscire a evitare di toccarne la superficie più dello stretto necessario, poi abbozzò un sorriso tirato in direzione del nonno, che gli rispose con un’espressione entusiasta sul volto giallo quasi quanto il libro.
«Me lo diede mio padre quando vivevamo ancora in Jugoslavia, giovanotto.» spiegò con orgoglio. «Ha tanti anni, infatti vedi che manca la copertina. Però le pagine ci sono tutte e alcune si leggono ancora bene come una volta.»
«Già.» biascicò Costantino cercando con gli occhi un posto dove poggiare quella cosa oscena. Non ne poteva più di tenere il volume tra le dita. Era grosso e pesante e inziavano a fargli male gli indici e i pollici tra cui l’aveva pizzicato, e ogni secondo che passava gli sembrava di vedere migliaia di germi che passavano allegramente dalla carta alla sua pelle. L’avrebbe buttato non appena il nonno se ne fosse andato.
«Papà,» disse allora sua madre dopo avergli lanciato un’occhiataccia di rimprovero «sei stato gentile a dare il libro a Costantino. Ci tenevi tanto.»
Costantino afferrò che la frase era diretta a lui e non al nonno. Voleva dire: So che cosa hai in mente e se provi a liberarti di quel libro saranno guai.
«Lo devi leggere tutto, Costantino.» si raccomandò il nonno poggiando la mano sulla prima pagina del libro. Il ragazzo ebbe un moto di disgusto nel vedere che il vecchio non si faceva problemi a toccare quell’ammasso di sudiciume. Represse un brivido e prese mentalmente nota di trovare un modo per non toccargli la mano, quando fosse arrivato il momento di salutarsi.
«Certo.» borbottò Costantino.
«No, devi prometterlo.» insistette il nonno. «Lo so che voi giovani non avete rispetto per i libri. E questo è particolare, vedrai. Ma una volta che avrai iniziato ti piacerà. Devi promettermi che arriverai fino in fondo, senza saltare nemmeno una riga. Se lo fai, avrai da pentirtene.»
«No, ho capito. Lo leggo tutto.»
«Bravo ragazzo.» approvò il nonno. «È la cosa giusta da fare. Sì, la cosa giusta.»
Costantino annuì un paio di volte e, sempre tenendo il libro tra le dita, decise che era ora di sbarazzarsi del seccante oggetto e di lasciare il nonno a ricordare le avventure della Resistenza senza di lui.
Si diresse verso la propria stanza con le braccia tese in avanti per essere sicuro di non toccare il libro nemmeno per errore. Quando fu dentro si affrettò a recuperare una busta di platica, vi infilò il volume e, dopo averla richiusa con perizia, corse in bagno a lavarsi le mani. Quando tornò prese la busta e la cacciò in fondo all’armadio, sotto alle scarpe.
Non ne voleva sapere di toccare ancora quella cosa schifosa. In tutta la sua vita non gli era mai passato tra le mani niente di più sporco. Si sentiva infettato. Odiava la sensazione della polvere che entrava a contatto con la pelle.
Decise che non ci avrebbe più pensato. Si sedette alla scrivania e accese il computer. Forse Lucia aveva avuto la decenza di rispondere al messaggio che le aveva lasciato su Facebook, ma ne dubitava. Non riusciva a capire perché si fosse così ostinata a non rispondergli, considerando che, contrariamente al solito, non avevano litigato, e la situazione lo stava davvero stancando.
Non trovò il messaggio di Lucia, come si aspettava, ma, in compenso, c’era una richiesta d’amicizia da parte di un ragazzo che non conosceva. Il profilo diceva che si chiamava Yuri Gogovo e che aveva ventidue anni. Il nome non gli diceva nulla. Si sforzò di guardare per bene la foto, ma non riusciva a distinguere bene il volto del ragazzo. Gli sembrava che l’immagine fosse piuttosto vecchia, con il colore un po’ sbiadito come quando le fotografie venivano stampate su cartoncini opachi, e non lucidi come quelle di adesso. Gli occhi sembravano scuri, ma i capelli erano tanto chiari da sembrare bianchi, lisci. Aveva il volto largo, con gli zigomi sporgenti come tanta gente dell’Est europeo. Ma non aveva nulla di familiare.
Decise di accettare comunque l’amicizia, solo per curiosità.
Rimase per un po’ a girare tra i profili dei suoi amici, – in qualche modo, Jacopo si era rotto una gamba cadendo dalle scale, e Gisella era di nuovo single – poi tornò a controllare i messaggi, per essere certo di non aver saltato di leggere un’eventuale risposta di Lucia, ma ovviamente non s’era sbagliato. Lei non aveva risposto.
Furioso, prese il telefono e compose in fretta il suo numero.
Quando la ragazza rispose, l’aggredì con un ringhio furibondo.
«Ma allora ci sei! Com’è che non mi rispondi?»
In pratica, era di nuovo senza soldi nel cellulare. E, stando a quello che raccontava, il padre le aveva sequestrato il computer, perché aveva preso una multa per eccesso di velocità e aveva anche rischiato di uccidersi in un incidente stradale che fortunatamente non aveva avuto vittime.
«Certo, certo, sempre le solite balle!» esclamò Costantino nell’auricolare. «Di’ la verità! Sei stanca di me? Non mi va di farmi prendere in giro!»
No, non era quello. Gliel’aveva spiegato: il cellulare e il computer. Non aveva proprio potuto contattarlo.
«Potevi venire fino a qui.»
Le avevano tolto anche le chiavi della macchina, e avrebbe dovuto prendere tre autobus per arrivare, pagando i biglietti con soldi che, al momento, non aveva. Lo amava ancora, comunque, non aveva motivo di arrabbiarsi.
«Ma figuriamoci.» sbottò Costantino. Chiuse la telefonata prima ancora di ascoltare la risposta di Lucia.
Che bella giornata! Il nonno che arrivava dopo una vacanza in Serbia, carico di ricordi di quand’era bambino mentre Tito combatteva per liberare il Paese, a suo dire, con un libro puzzolente che gli aveva ordinato di leggere; i jeans bianchi che si erano macchiati per via di una pozzanghera che non era riuscito a evitare e che l’avevano fatto sentire sporco per tutta la mattinata, a scuola, e Lucia che aveva il coraggio di prenderlo in giro dicendo che lo amava alla follia mentre lui era fermamente convinto che si vedesse con un altro.
L’unica cosa di cui gli importava, al momento, era di far tornare i jeans candidi com’erano prima. Se c’era una cosa che non sopportava, era la sporcizia. E l’idea di avere quel grumo di germi depositati in una busta di plastica dentro al suo armadio, a pochi centimetri di distanza dal letto, lo faceva rabbrividire fino a sotto le piante dei piedi. Non poteva resistere. Avrebbe lasciato passare qualche giorno, il tempo che la madre se ne dimenticasse, poi l’avrebbe buttato nel cassonetto dei vicini. Se gli avesse fatto domande, le avrebbe risposto che l’aveva perso.