Passò l’intero pomeriggio al computer, cercando di non pensare a Lucia, che lo prendeva in giro in continuazione e che lui non si decideva a lasciare, e a quello schifoso libro lasciato proprio accanto al suo letto. Una parte di lui diceva che non sarebbe successo nulla se l’avesse spostato solo di un po’, in modo che non fosse così vicino al cuscino, un’altra gli rammentava che allora avrebbe dovuto poggiarlo sulla scrivania, pericolosamente vicino alla sua mano. Risolse dunque di lasciarlo lì, e di trovare una scusa per liberarsene con il consenso della madre. Ce l’avrebbe fatta, ne era certo. Le avrebbe esposto con calma il suo disagio nell’avere un simile concentrato batteriologico tanto vicino, e lei forse avrebbe capito.
Per un istante lo sfiorò l’idea di leggerlo davvero, quel dannato libro. Così la madre non avrebbe rotto più di tanto, se l’avesse poi gettato. Non sarebbe stato così terribile, forse… Si alzò dalla sedia e si diresse a passo spedito verso la cucina. Non poteva rimandare, ormai che aveva deciso. Sarebbe servito solo a fargli cambiare idea un’altra volta.
«Mamma,» chiamò, «dove hai messo i guanti?»
La donna, concentrata su dei documenti, sollevò la testa quel tanto che bastava a lanciargli un’occhiata incredula.
«Che ci devi fare?»
«Ho deciso di leggere il libro.» spiegò Costantino scrollando le spalle. «Ma non intendo minimamente toccarlo, perché mi fa schifo.»
«Per questo vuoi i guanti?»
«Sì.»
«Mi sembra un compromesso accettabile.» sospirò allora la donna. «Sono nell’armadio in entrata, in alto.»
Costantino annuì, poi si allontanò. Armatosi di una considerevole dose di guanti di lattice e di un’altra busta di plastica tornò in camera. Si legò un grande fazzoletto attornò alla bocca e al naso per contrastare la puzza e la polvere che si alzavano dalle pagine ingiallite, stese per bene la busta sulla scrivania e vi poggiò sopra il libro, rassicurato dallo strato di lattice che gli impediva di toccarlo direttamente. Anche così, non riuscì a reprimere un moto di disgusto, ma alla fine si sedette, curandosi di non sfiorare nemmeno, con la pelle nuda, la carta, e girò la prima pagina.
La carta consunta era ormai rigida, e l’inchiostro sfumato. Eppure nella parte alta della seconda pagina, sopra alle prime parole, qualcuno aveva scritto con quella che sembrava una matita: Pericolo.
Costantino scosse la testa, in parte divertito. Quel libro poteva essere pericoloso solo per le malattie che poteva trasmettere, o al limite per la mole, se qualcuno avesse deciso di utilizzarlo come arma impropria, ma non riusciva a venirgli in mente nessun altro modo in cui avrebbe potuto costituire un pericolo.
Sospirò, si fece coraggio e tentò di decifrare la prima riga. Era stato scritto a mano, con una grafia piccola ed elegante, e ormai si faceva fatica a leggere, ma Costantino s’impegnò lo stesso, confidando nel fatto che prima fosse riuscito a finirlo, prima se ne sarebbe potuto liberare.
La cosa più importante di tutte, recitava la prima riga, è ricordare sempre che è tutto vero. La seconda è che non potete assolutamente farcela da soli. La terza è che se c’è qualcuno disposto ad aiutarvi, voi dovreste essere pronti ad aiutare lui. La quarta è che la via che porta dalla piazza del forno a quella del pozzo è tutta dritta e pericolosa di giorno. La quinta è che una volta che avrete iniziato a leggere questo libro dovrete assolutamente finirlo.
Costantino rimase qualche istante a guardare la pagina che, oltre a quello, era vuota. Se tutto il libro era così, allora poteva benissimo dire che la voglia di leggere gli era già passata. Quell’ultimo punto, soprattutto, gli suonava come una minaccia e lo infastidiva parecchio. Cosa voleva dire che non poteva non leggere il libro fino in fondo? Certo che poteva! In tutta la sua vita aveva terminato un solo libro ed era stato quello di favole che la madre gli leggeva quand’era piccolo, perché quello avrebbe dovuto essere diverso? Tanto più che era piuttosto grosso, e la grafia minuta: gli ci sarebbe voluta una vita per arrivare in fondo e lui non aveva tempo da perdere dietro alle farneticazioni di un folle che un giorno si era svegliato e aveva deciso di ammorbare l’universo con il suo scritto.
A conferma di questo suo pensiero decise che aveva letto anche troppo, per quel giorno, e poi faceva caldo e il fazzoletto intorno alla bocca lo infastidiva. Richiuse cautamente il libro, facendo attenzione a non sollevare troppa polvere, lo infilò nella busta e lo ripose sul comodino. Tolse i guanti e, dopo averli gettati nel cestino, tornò a concentrarsi sul computer. Guardò l’orario nell’angolo in basso dello schermo. Erano appena le sei e mezza, e forse Davide avrebbe finito la partita entro poco. Avrebbe potuto andare al campo e aspettarlo, e poi accompagnarlo a casa. Dovevano mettersi d’accordo per il compleanno di Thomas e poi voleva parlargli di Lucia.

Arrivò al campo di calcio che ormai la partita era agli sgoccioli. Da quanto riuscì a capire, mancavano solo pochi minuti e dovevano essere decisivi, perché i tifosi di entrambi le squadre sembravano particolarmente sulle spine e così i giocatori che erano in panchina. Con sua grande sorpresa, Costantino scoprì che anche Davide era tra questi. Quando l’amico si accorse di lui lo salutò con un gesto cauto della mano, poi gli fece cenno di aspettarlo e tornò a concentrarsi sulla partita.
A Costantino sembrarono ore quelle che passarono dal momento in cui i calciatori uscirono dal campo e il momento in cui Davide lo raggiunse zoppicando.
«Che ti sei fatto?»
«Sono caduto.» replicò Davide con una smorfia. «E la cosa fantastica è che ho fatto tutto da solo.»
«Complimenti.»
«Allora? Come mai sei da queste parti?»
«Volevo chiederti se avevi deciso qualcosa per il compleanno della Fede. Hai chiamato per il ristorante?»
«No, pensavo che volessi prima decidere il giorno.»
«Be’,» replicò Costantino, «se si riesce per il suo compleanno, se no uno a caso.»
«Stasera provo a sentire. Pensavo che potremmo regalarle uno zaino nuovo, il suo è distrutto.»
«Lei ha tutto distrutto.» brontolò Costantino. «Non so nemmeno come faccia. Le scarpe che le abbiamo regalato a Natale sono durate due settimane…»
«Un record!» esclamò Davide. Camminavano lentamente, e ogni tanto lui si fermava per riposare il piede. «Comunque, come mai questo muso lungo? Con chi ce l’hai?»
Costantino guardò l’amico e scosse la testa. Con il sistema, in generale. Ce l’aveva con suo nonno, che era perso nei suoi ricordi del dopoguerra e ogni volta non gli lasciava scampo; con sua madre, che dava ragione al nonno; con chi aveva scritto il libro e con il libro stesso, che si era lasciato scrivere; ce l’aveva con Davide che aveva scelto un pessimo momento per farsi male, dato che lui iniziava ad avere fame e non vedeva l’ora di tornare a casa, e soprattutto…
«Lucia!» sbottò, furibondo. «Sono giorni che non si fa sentire e prima, quando l’ho chiamata, mi ha rifilato un sacco di scuse e pretende anche che io ci creda…»
«Che ti ha detto?»
«Che ha finito i soldi, che le hanno tolto il computer e a quanto pare anche la macchina e tutte cose così.»
Davide sbuffò, agitò una mano in segno di impazienza e si chinò per massaggiare la caviglia.
«Ancora fermo sulla tua teoria?» gli chiese inarcando le sopracciglia.
«Sempre.» rispose Costantino. «Andiamo, è evidente! Non mi sopporta più.»
«Nemmeno tu, a quanto pare.»
«No, infatti.» confermò Costantino. Poi ci ripensò e si corresse: «Non è che non la sopporto, è che mi rompe. E non mi sta dicendo la verità.»
«Allora lasciala.»
«Cosa?»
«Se non ti fidi di lei, allora lasciala. Così non ha senso.»
«Sì, ma dovrebbe farlo lei. È lei che si comporta in modo strano!»
Davide sbuffò di nuovo, sputò in terra e gli rivolse uno sguardo intransigente.
«Scarichi sempre tutto sugli altri.»
«Non dire cazzate.»
«È vero.» ribatté Davide con forza. Certo che era vero, Costantino lo sapeva benissimo. Lui non prendeva mai l’iniziativa. Era scomodo, portava un sacco di conseguenze e tutti poi se la prendevano con lui se le cose andavano male. Non gli piaceva, lo trovava stupido. Preferiva aspettare gli altri.
«Va bene, va bene.» brontolò allora, stanco della piega che aveva preso la conversazione.
Non disse più nulla. Tornarono a casa in silenzio.
Dopo cena Costantino tornò nella sua stanza e accese di nuovo il computer. Per un attimo gli venne voglia di aprire di nuovo il libro, ma poi, memore di ciò che aveva letto nel pomeriggio, cambiò idea.
Tornò a controllare il profilo su Facebook, e si accorse che di nuovo gli era arrivato un messaggio privato da parte di Yuri Gogovo. Lo aprì titubante, sperando di trovare le risposte alle domande che gli aveva inviato, e si irritò non poco quando si accorse che non era così.
«Non fidarti.» diceva il messaggio. «Forse fai ancora in tempo
Ancora una volta, non c’erano spiegazioni di nessun tipo. Spazientito, Costantino compose in fretta una risposta.
«Chi sei?» scrisse di nuovo, «Che cosa vuoi? Non faccio in tempo a fare cosa?»
Inviò con uno scatto nervoso e spense il computer con rabbia. Guardò l’orologio e, anche se era ancora presto, decise che era stanco per fare qualsiasi cosa. Infilò in fretta il pigiama e andò a dormire.